titoli di coda

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[cose accadute nel frattempo]

Siamo sulla terrazza ventosa da cui si scorge Pioppi, l’insenatura dolce che corre fino a Casal Velino e viene sbarrata, in lontananza, dal braccio abbandonato sul mare di Capo Palinuro. A. gioca con Davide. Dall’interno passano nubi lunghe e piatte. Un vento isterico muove gli ulivi, fa impazzire rondini e gabbiani. Pollica è arrampicata sull’estrema balza del monte davanti a noi, con le case che paiono in bilico e tenute insieme solo dalla buona volontà della chiesa paesana, che se ne fotte della gravità e guarda massiccia la valle, sporgendo senza logica verso il mare un campanile squadrato come il disegno di un bambino.
Pioppi: case affacciate sul mare e un filo strettissimo di spiaggia a separarli, le luci e le sale da pranzo aperte di sera sul passeggio, i piccoli alimentari con tutto dentro; la pescheria rivestita di mattonelle di marmo, il ristorante di pesce, il bar per i pettegolezzi da seduti.

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Preferisco buttare via le sere davanti alla tv. I programmi di calcio in seconda serata non ti mettono alla prova, e nemmeno i film che ti piacevano da piccolo e che ritrovi a tarda ora (quando il paese non emette alcun suono e dalla finestra ascolti la risposta muta “sei solo tu a essere rimasto sveglio).

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Continuano i viaggi in macchina a vuoto, avanti e indietro, mi sembra di spostare scatole piene e al tempo stesso di non fare nessun progresso. Ho ripreso in mano Dionisotti: ora quella minuziosissima cura al dettaglio secondario mi appare meno decisiva rispetto a qualche anno fa. Forse non tutte le cose che ha scritto devono essere oggetto di venerazione.

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L’aereo piega a sinistra, si corica verso le Ande accoglienti, mentre a destra s’innalza un cielo turchese da primo pomeriggio, con nubi sparpagliate che corrono a branchi selvaggi. Bogotá è su queste cime e l’aereo si prepara a posarsi sopra una montagna.

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Lascio Londra il mattino del due dicembre, senza averne avuto che una notturna, lineare visione dall’interno del bus navetta che da Bank St. ci ha portato blindati fino a Kensington. Come sta diventando triste la City. Ciò che rimane dei vecchi quartieri è mangiato dall’ansia vorace di torri cristalline, gigantesche, perennemente illuminate, strette l’una all’altra tanto da scacciar via la luce, l’aria, i sentimenti. Sembra una città alle prese con una campagna di abusivismo selvaggio, un po’ alla vecchia maniera nostra. La riva opposta del fiume sembra diventata una dismessa periferia industriale, forse in smantellamento o in costruzione (tutt’e due le cose).

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Raggiunta l’autostrada scendendo da Bassignana e Rivarone (studio di paesaggio da prospettiva rovesciata, il paese sulla riva destra del Tanaro, inquadrato dalla superficie scintillante del fiume, la domenica mattina). La strada sulle colline, la campagna immobile, le case abbandonate che vanno lentamente in briciole, a ingrigirsi e a essere ricoperte dalla sterpaglia di bosco.

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